E’ sotto gli occhi di tutti la profonda crisi dell’economia e
della democrazia nel nostro Paese. Basti pensare all’ incremento progressivo
della disoccupazione- soprattutto giovanile, femminile e a sud di Roma- e alla
sfiducia dei cittadini nei confronti dei partiti. La politica, per provare a
porre un freno e a invertire la rotta, deve necessariamente parlare il
linguaggio della chiarezza, dell’assunzione delle responsabilità, delle scelte
di campo strategiche (non tattiche e di corto respiro come purtroppo troppo
spesso avviene). A partire dalla legge elettorale, che deve necessariamente
consentire ai cittadini di scegliere tra candidati premier proposti da coalizioni
alternative, e dalle alleanze, che devono essere rigorosamente fondate su
programmi condivisi, scarni, verosimili.
L’elettorato di centrosinistra, al di là del comportamento e
delle dichiarazioni- spesso ambigui e contraddittori-, dei tanti protagonisti del
proscenio politico, chiede a viva voce, nelle piazze e sulla rete, un programma
che sia alternativo a quello della destra berlusconiana e cha segni una chiara
discontinuità alle politiche economiche poste in essere dal governo Monti. E’
evidente che il fulcro del programma del centrosinistra deve essere, oggi più
che mai, il LAVORO, la sua dignità e
la sua valorizzazione. Troppo ci siamo lasciati lusingare dalla finanza, dai
banchieri, dai procacciatori d’affari. L’Italia riparte solo se i lavoratori
recuperano fiducia, orgoglio, diritti e riconoscimento sociale.
I quesiti referendari
per cui noi di Italia dei Valori, insieme ad altri, stiamo raccogliendo le
firme, sono una prova tangibile della necessaria discontinuità rispetto alle
politiche economiche dei governi Berlusconi e Monti. Uno mira a cancellare l'art. 8 della legge 138
varata dal governo Berlusconi, che sopprime di fatto il contratto nazionale e
lo sostituisce con il massimo arbitrio delle aziende; l'altro propone di ripristinare l'art. 18 dello Statuto dei
lavoratori eliminato da Monti, che obbligava le aziende con oltre 15 dipendenti
a riassumere i lavoratori licenziati senza giusta causa.
Hanno quindi per oggetto due diritti dei lavoratori che sono
stati negati o aggirati e il loro ripristino è essenziale per delineare un
nuovo e rinnovato rapporto di fiducia tra aziende e lavoratori e tra il
centrosinistra e il proprio elettorato.
Chi non vuole fare questa battaglia, perché sostenendo il
governo Monti ha votato in Parlamento la riforma Fornero e non vuole
pregiudicare possibili e innaturali alleanze con i moderati, usa come alibi un'obiezione
infondata, quella secondo cui raccogliere le firme sarebbe inutile dal momento
che i referendum non si terranno. Nel 2013, infatti, non si potranno tenere
consultazioni referendarie. Nel 2014 ci sarà un nuovo governo che potrebbe
cambiare quelle leggi senza bisogno di ricorrere al referendum.
E' un discorso che non fila, figlio delle incertezze e della
mancanza di unità d’intenti delle tante correnti del PD. Una volta raccolte le
firme, i referendum si terranno con certezza nei primi mesi del 2014. Certo, a
quel punto ci sarà un governo, ma non è affatto certo che non si tratterà di un
nuovo governo Monti, che evidentemente sarebbe in continuità con quello
attuale. E anche un governo diverso, senza un forte segnale rappresentato da
una raccolta copiosa di firme a sostegno dei referendum, probabilmente non avrebbe
la forza e il coraggio di sfidare poteri italiani ed europei fortissimi per
ripristinare gli elementari diritti dei lavoratori.
C'è un solo modo per essere certi che su queste materie a
decidere siano i cittadini invece che le segreterie di partito e i centri di
potere finanziario: raccogliere le firme per i referendum.
Ci sono poi i due referendum
anticasta che hanno l’obiettivo di abrogare
il finanziamento pubblico dei partiti e la diaria dei Parlamentari. Su essi
davvero mi pare superfluo soffermarmi. Gli episodi recenti di malcostume
politico e di utilizzo a fini impropri (e spesso personali) dei soldi pubblici dicono
meglio di qualsiasi ragionamento quanto oggi sia necessario ripristinare l’impegno
politico quale espressione di passione civile e di esigenza interiore di
adoperarsi per il progresso dei nostri territori e del nostro Paese.
Aggiungo solo che da cittadino impegnato in politica da oltre 12
anni, sempre e solo con IDV, che mai ha chiesto (e ovviamente mai ottenuto)
rimborsi per le ingenti spese sopportate per attività politica, candidature
plurime, mantenimento sede ecc, ecc, che mai ha chiesto (e ovviamente mai
ottenuto) ricompense di altro tipo, avverto una profonda mortificazione
interiore a prendere atto che il malcostume politico si è fatto strada, seppure
per casi isolati prontamente emarginati dal partito, anche al nostro interno.
Io certamente rimango fermo sulle mie posizioni. Non è il
momento delle defezioni che farebbero comodo solo ai mestieranti della
politica. E certamente gli attacchi mediatici al Presidente Di Pietro, che riprendono vicende vecchie già
peraltro giudicate dalla Magistratura e danno voce e credibilità a personaggi
usciti dal partito
che da anni nutrono personale astio nei confronti dello stesso Di Pietro, sono
evidenti tentativi di delegittimare l’unico partito fuori dal coro, l’unico
partito che ha fatto davvero, in Parlamento e nelle piazze, opposizione al governo
Berlusconi e al governo Monti, l’unico partito che ha con dignità e coraggio
fatto rilevare l’inopportunità del conflitto istituzionale innescato dal
Presidente Napolitano contro la magistratura di Palermo.
Ma dal mio partito mi aspetto non solo che vengano prontamente
espulse le mele marce; mi aspetto che si dia concretezza alle tante battaglie civili
condotte in questi anni e all’esigenza di rinnovare la classe politica (ricordo
per esempio il limite di due mandati per i quali abbiamo sostenuto la proposta
di legge di iniziativa popolare di Grillo). Mi aspetto soprattutto che
piuttosto che dare visibilità e rilievo politico a transfughi e politici di
professione, dal dubbio e spesso clientelare consenso personale, si valorizzi
la militanza e l’impegno civile.
Emilio Iannotta
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