Congresso di Parete. Le responsabilità di Italia dei Valori

Ho partecipato ieri al congresso cittadino di Parete. Circolo storico di Italia dei Valori presente in amministrazione con il vicesindaco Raffaele Pezone e il consigliere Raffaele Picone. Alla dirigenza neoeletta (Raffaele Di Nardo segretario, Luciano Pastore presidente), che è un giusto mix di esperienza, militanza, freschezza e rinnovamento, ho portato i saluti di IDV dell’Alto Casertano. Nel mio intervento ho sottolineato come Italia dei Valori abbia oggi, a tutti i livelli, una grande responsabilità. A noi tocca non solo prepararci ad amministrare a tutti i livelli, dal piccolo centro al governo del Paese, essendo forza imprescindibile di una coalizione che deve farsi carico della ricostruzione civica, etica ed economica e che da subito deve proporre un programma chiaro, stringato e condiviso agli Italiani. Abbiamo peraltro un dovere supplementare. Essere avamposto delle Istituzioni e della politica nel difficile confronto con i tantissimi cittadini oggi delusi dai partiti che, in verità, hanno davvero perso molto della loro autorevolezza. Essere consapevoli che in particolare le giovani generazioni oggi possono cadere con facilità nell’antipolitica, nella violenza, nell’oblio delle coscienze e nella tentazione dell’alcool, della droga, del gioco avendo perso ogni fiducia nelle classi dirigenti di un Paese che ha ipotecato il loro futuro ed è incapace di valorizzarne competenze e professionalità. A tali responsabilità non possiamo sottrarci: per essere stata l’unica opposizione determinata alla degenerazione del berlusconismo, capace di atti coerenti in Parlamento e di mobilitazione nelle piazze e coi referendum. Perché la storia insegna che il nostro principale alleato, il partito democratico, ancor oggi il più votato nella nostra coalizione, da tempo ha rinunciato a svolgere tali funzioni.

Pubblico, sul tema, uno degli ultimi interventi di Marco Travaglio.

Emilio Iannotta

Io firmo. Io fermo

di Marco Travaglio

Nel 2001 centinaia di migliaia di persone manifestano al G8 di Genova e prendono un sacco di botte, ma i vertici Ppi e Pds non ci sono, diversamente dai loro elettori. Nel 2002 i Girotondi circondano i tribunali per difendere l’indipendenza delle toghe dalle leggi vergogna, ma i vertici Ppi e Pds non ci sono, al contrario dei loro elettori. Per i 10 anni di Mani Pulite, 40 mila persone riempiono si riuniscono dentro e fuori dal Palavobis di Milano, ma i vertici del Ppi e Pds non ci sono, al contrario dei loro elettori, perché – spiega Violante – “non si festeggiano le manette”. Il 14 settembre un milione di persone occupano piazza San Giovanni e le vie limitrofe contro la Cirami, ma i vertici Ppi e Pds sul palco non ci sono perché gli organizzatori non li vogliono, memori della Bicamerale e degli altri inciuci su giustizia e conflitto d’interessi. Nel 2004 la Cgil di Cofferati riunisce 2 milioni di persone al Circo Massimo contro l’abrogazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma molti Ppi e Pds flirtano con gli abrogazionisti, diversamente dai loro elettori; quanto a Cofferati, viene imbalsamato a Bologna perché non rompa le palle a Roma. Intanto nasce il movimento contro le guerre in Afghanistan e in Irak, ma a differenza dei loro elettori i vertici Ppi e Pds non ci sono. Infatti, tornati al governo dal 2006 al 2008, confermano le missioni di guerra spacciandole per missioni di pace, così come tutte le leggi vergogna che avevano giurato di cancellare. Nel 2007-2008 Grillo organizza due V-Day per fare, con tre leggi popolari e tre referendum, ciò che il centrosinistra non ha voluto fare: via i condannati e i dinosauri dal Parlamento, via la legge elettorale-porcata, via la Gasparri, via i soldi pubblici ai giornali, via l’Ordine dei giornalisti, ma i vertici di Margherita e Ds, mentre molti loro elettori sfilano e firmano, strillano all’”antipolitica”. L’8 luglio 2008 Micromega e Di Pietro chiamano a raccolta in piazza Navona contro il lodo Alfano: i vertici di Margherita e Ds non ci sono, i loro elettori invece sì. Due anni fa Di Pietro, un pezzo della sinistra radicale e molti comitati civici, promuovono tre referendum: acqua pubblica, no al nucleare, no al lodo Alfano; ma, mentre i loro elettori firmano, i vertici Pd non ci sono perché sotto sotto l’acqua privata, il nucleare e l’impunità per le alte cariche piacciono anche a loro. “Noi – si illumina Bersani – non abbiamo una strategia referendaria perché in 15 anni si sono persi 24 referendum e perché manca l’aspetto propositivo”. Risultato: a giugno 29 milioni di italiani di destra e di sinistra corrono a votare i tre referendum, fottendosene dell’aspetto propositivo. I vertici Pd festeggiano come se avessero vinto loro, ma almeno si spera che abbiano imparato la lezione. In fondo non è difficile: basta sintonizzarsi con i propri elettori. Invece niente. Parisi, Di Pietro, Segni, Vendola e altri raccolgono le firme per cancellare la norma più odiata dagli italiani dalle leggi razziali: il Porcellum di Calderoli. Ma l’astuto Bersani non ci sta: gli elettori del Pd cercano invano i banchetti alle feste del partito (un tempo feste dell’Unità), ma li trovano soltanto in alcune, perlopiù seminascosti fuori dal recinto. Il sagace Bersani, per non dispiacere al compagno Piercasinando, al geniale D’Alema e al fico Fioroni, pontifica: “Meglio la via parlamentare”. Uòlter aderisce, poi si dissocia, poi firma. Risultato: 1.210.466 firme che ora garantiranno o una legge elettorale migliore o la fine del regime e le elezioni a primavera. Bersani, che non risulta aver firmato, fa la supercazzola: “Non ci abbiamo messo il cappello, ma abbiamo messo i banchetti” e chiede che qualcuno lo ringrazi. I suoi elettori saranno ben lieti di farlo quando annuncerà le sue dimissioni da segretario, da candidato premier, da tutto. Non solo per essersi circondato di gente come Penati. Ma soprattutto perché, come i suoi predecessori, non ne ha mai azzeccata una.


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