Un Referendum antidemocratico di Pancho Pardi

16 Giugno 2009

Un Referendum antidemocratico




Il referendum sulla legge elettorale Calderoli, su cui si voterà il prossimo 21 giugno insieme ai ballottaggi delle elezioni amministrative, è stato proposto da Guzzetta e Segni come unico mezzo per liberarci da una pessima legge elettorale. In realtà se vincerà il Sì il referendum peggiorerà la legge e non ne eliminerà gli aspetti più pericolosi.

La legge Calderoli, detta “la porcata” dal suo stesso autore, attribuisce “alla lista o alla coalizione di liste” che prende più voti un robusto premio di maggioranza calcolato su base nazionale alla Camera e su base regionale al Senato. Con questa legge il centrodestra, che aveva ricevuto circa il 47% dei voti, ha ottenuto il 55% dei seggi: una grossa minoranza ha così avuto il vantaggio di vedersi attribuita la maggioranza in Parlamento. I rapporti tra maggioranza e opposizione sono stati alterati all’origine: nell’attribuzione dei seggi l’opposizione è ridotta in condizione molto più minoritaria di quanto sia in realtà. In sintesi, la legge Calderoli ha prodotto un bipolarismo coatto.

La stessa legge stabilisce il criterio delle liste bloccate: così le direzioni dei partiti possono gestire in piena libertà la scelta delle candidature. Quello attuale è un Parlamento di nominati assai più che di eletti.

Il fenomeno è aggravato dalla possibilità di candidarsi in più collegi. In questo modo chi è eletto in più di un collegio ha la possibilità di optare per quello preferito e quindi di decidere chi sarà il primo dei non eletti a salire negli altri collegi. Pare che almeno un 30% degli eletti sia stato scelto non dai cittadini ma dal collega che ha optato per un collegio diverso.

Solo su questo ultimo punto il referendum Guzzetta-Segni migliora la situazione perché elimina la possibilità delle candidature multiple. Ma non elimina le liste bloccate e quindi consegna ancora una volta alle dirigenze dei partiti il dominio sulla scelta delle candidature. Infine sono molto più gravi le conseguenze del Sì per il quesito principale, articolato in due quesiti separati, uno per la Camera e uno per il Senato. Infatti il Sì attribuisce il premio non più alla coalizione vincente ma solo alla lista che prenderà più voti.
Non é stabilita una soglia minima: se per puro caso le cinque maggiori forze politiche che stanno ora in Parlamento si dividessero quasi alla pari il suffragio elettorale, una lista con poco più del 20% potrebbe ottenere il 55% dei seggi (il fascismo andò al potere superando la bassa soglia del 25% fissata dalla legge Acerbo).

Ma è anche temibile che una lista con il 40% dei voti (questa è la stima attuale per il PdL) possa ottenere da sola la maggioranza assoluta. Così il potere di Berlusconi non avrebbe più limiti perché potrebbe fare a meno dell’apporto della Lega, suo attuale e decisivo alleato, con cui condivide ora il 55% dei seggi. La politica italiana avrebbe un unico padrone, rafforzato dal controllo quasi totale sull’informazione televisiva. Sul fronte opposto, la necessità di convogliare la maggior parte dei voti su una sola lista potrebbe far scomparire anche la minima pluralità all’interno dell’opposizione.

La rappresentanza politica delle opinioni dei cittadini già drasticamente semplificata dal bipolarismo coatto della legge Calderoli sarebbe schiacciata e ridotta alla scelta tra le due sole alternative possibili nel bipartitismo coatto prodotto dal Sì nel referendum Guzzetta.

Ora, se vincesse il Sì, si prospettano due futuri possibili. Il primo: entrambe le coalizioni danno vita ognuna a un solo listone riassuntivo di tutte le loro componenti. In questo modo si vanificano tutte le intenzioni semplificatrici del referendum, perché all’interno dell’unico listone si ritroverebbero tutte le forze politiche della coalizione originaria, e lì si replicherebbe con ogni probabilità la loro rissosità precedente. Il secondo: sui due fronti opposti le liste concorrono ognuna per proprio conto. E allora si verificherebbe il dominio incontrollato di una minoranza dotata degli strapoteri di una larga maggioranza. La democrazia ne uscirebbe sfigurata.

I promotori del referendum sostengono che già con il sistema attuale (premio di maggioranza a una lista o a una coalizione di liste) Berlusconi potrebbe raggiungere lo stesso risultato temuto sulla base del Sì nel referendum. Ma trascurano un punto decisivo: l’autonomia della Lega. Con la legge Calderoli, Berlusconi può sì tentare di prendere da solo il premio di maggioranza ma deve fronteggiare l’immediata ostilità della Lega. E’ difficile immaginare che il PdL faccia cadere il suo stesso governo per tornare al voto con la stessa legge, me se facesse ora questo tentativo la Lega mobiliterebbe tutte le sue forze di alleato vigile per non essere ridotta a mero contorno, fuori dall’eventuale 55% dei seggi acquisito dal solo PdL. Se invece passasse il Sì, a Berlusconi basterebbe battere da solo il PD anche di un solo voto per prendersi la maggioranza assoluta, e la Lega resterebbe come accessorio trascurabile. C’è un ulteriore ipotesi peggiorativa: se la Lega dopo il voto volesse comunque acconsentire a una nuova alleanza con il PdL, si potrebbe rischiare che insieme raggiungano la percentuale per cambiare la Costituzione senza dover passare, come nel 2006, attraverso il referendum confermativo. In questo caso la maggioranza potrebbe anche cambiare la Corte Costituzionale e asservire a sé stessa tutto il sistema politico: fine della democrazia, fine della Repubblica.

I promotori del referendum sostengono che la vittoria del Sì permetterà la scrittura di una nuova migliore legge elettorale. Non è vero. La legge uscita dalla modifica referendaria sarà immediatamente applicabile e non è credibile che Berlusconi rinunci al vantaggio di poter governare da solo con il 55% dei seggi.

I promotori del referendum rivendicano di perseguire l’unica via possibile per costringere il centrosinistra a stare unito sotto una direzione politica unica. Sostengono che l’esperienza precedente del centrosinistra è stata disastrosa e che solo col bipartitismo coatto il centrosinistra può sperare di battere Berlusconi.

E’ vero che il centrosinistra ha fatto di tutto per perdere e anche quando, con estrema fatica, ha vinto ha poi affossato i governi usciti dalla difficile vittoria elettorale. Ma sperare di riunire in un partito unico forze che non sono riuscite a stare insieme in una coalizione è prospettiva realistica? E sarebbe ancora più realistica la fantasia di una riscossa vittoriosa animata dal solo PD? E in nome di questo miraggio vale la pena di rischiare di consegnare il paese e la Costituzione a un padrone unico senza limiti e senza controllo?

Una cosa è certa: nelle condizioni attuali il Sì consegna l’Italia a un soggetto che in qualsiasi altro paese democratico non avrebbe mai nemmeno potuto accedere al Parlamento.


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